Mindfulness Self Compassion – Neurobiologia della Compassione
Una delle componenti della MINDFULNESS è l’atteggiamento compassionevole.
La compassione può trasformare le relazioni e l’esperienza:
L’evidenza scientifica dimostra che la compassione attenua la vergogna, l’autocritica e il giudizio, riduce la tendenza a rimuginare, e migliora l’immagine di sé, spesso aiuta nel trattamento dei disturbi psichiatrici.
Le ricerche dimostrano inoltre che la compassione ha una funzione importante nella felicità e nel significato personale. Sembra necessaria per una connessione con gli altri attraverso relazioni più salubri e più soddisfacenti e migliora l’intelligenza emotiva.
La compassione può essere altresì molto potente per guarire la sofferenza.
Allora cos’è la compassione? Quali aree del cervello coinvolge? Come funziona?
Proviamo a spiegare.
Troviamo risposte negli studi di Michael Tomasello, nei lavori sui neuroni specchio di Rizzolatti, e in tutta la letteratura neuro-scientifica, ormai concorde sull’argomento.
Le ricerche dimostrano che le aree coinvolte sono 4:
L’amigdala è un campanello di allarme, si accende rilevando in modo aspecifico il pericolo. L’insula è responsabile delle sensazioni corporee di attivazione del sistema nervoso centrale. Guardando gli altri ci connettiamo naturalmente con il pericolo o l’allarme (per la sopravvivenza della specie) e siamo portati a provare ciò che prova l’altro. Ma se ci fermassimo qui l’empatia sarebbe una semplice sovrapposizione delle sensazioni dell’altro su di noi. L’empatia invece è una complessa emozione sociale che va al di là del mero contagio (sovrapposizione) emotivo, ma che implica processi cognitivi di ordine superiore e la capacità di differenziare se stessi dall’altra persona: cosiddetto ‘perspective taking’ , di cui è capace la giunzione temporo-parietale.
La capacità di assumere la prospettiva dell’altro ci permette di superare il nostro abituale egocentrismo, di adattare i nostri comportamenti alle aspettative degli altri e quindi rendere soddisfacenti le relazioni interpersonali.
In linea con questo ragionamento le neuroscienze cognitive hanno dimostrato che, quando gli individui sono invitati ad adottare la prospettiva di altri, vengono attivati circuiti neurali comuni.
Nello stesso tempo, però, il tenere conto della prospettiva degli altri implica l’attivazione di specifiche parti della corteccia frontale che sono coinvolte nel controllo esecutivo e nel senso di “agente” (sorgente dell’azione o rappresentazione). È stato ipotizzato che la giunzione temporo-parietale possa servire a mantenere le due prospettive (di sé e altro) separate, mentre la corteccia prefrontale servirebbe a resistere alle interferenze da parte della propria prospettiva.
In pratica siamo sempre capaci di distinguere tra noi e gli altri, ma riusciamo a capire e sentire cosa prova l’altro.
Tuttavia se l’allarme è troppo alto, la giunzione temporo-parietale si interrompe in parte o del tutto, e perdiamo la connessione con gli altri.
Se invece riusciamo a mantenere attiva la giunzione temporo-parietale, la corteccia prefrontale ha un’altra importante funzione. Attraverso di essa possiamo scegliere l’azione da compiere, verso l’altro o verso noi stessi (self compassion) per lenire l’eventuale sofferenza.