Pratica Mindfulness a Torino

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Scopri il Metodo Mindfulness

12 suggerimenti utili per sostenere una pratica di meditazione

Ecco di seguito dodici semplici consigli su come praticare il metodo Mindfulness in autonomia nella vita quotidiana, e se hai bisogno di una guida chiedi aiuto a un esperto mindfulness o a un insegnante.

Scopri anche le nostre risorse audio gratuite per aiutarti nella pratica di esercizi di meditazione:

  1. Medita tutti i giorni, anche se è per un breve periodo. Dedica intenzionalmente questo momento di calma: è un dono per l’anima!
  2. Alcune volte durante ogni giorno, fai una pausa. Stabilisci un contatto con il tuo corpo e il tuo respiro, sentendo la vitalità che è qui.
  3. Rifletti regolarmente sulla tua aspirazione al risveglio spirituale e alla libertà, la tua e quella di tutti gli esseri.
  4. Ricorda che, come te, tutti vogliono essere felici e nessuno vuole soffrire.
  5. Pratica il metodo mindfulness regolarmente con un gruppo o un amico.
  6. Usa risorse stimolanti come libri, CD o discorsi di dharma accessibili tramite web.
  7. Studia gli insegnamenti buddisti (per es., le 4 Nobili Verità, il Nobile Ottuplice Sentiero).
  8. Iscriviti a un ritiro mindfulness: un giorno, un fine settimana o più. L’esperienza approfondirà il tuo metodo mindfulness e nutrirà il risveglio spirituale.
  9. Se perdi la pratica per un giorno, una settimana o un mese, ricomincia semplicemente.
  10. Se hai bisogno di una guida, chiedi aiuto a un meditatore mindful esperto o a un insegnante.
  11. Non giudicare la tua pratica, piuttosto accetta ciò che c’è e confida nella tua capacità di risvegliarti ed essere libero!
  12. Vivi con rispetto per la vita, impegnato a non nuocere, a vedere, onorare e servire il sacro in tutti gli esseri senzienti.

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Come meditare: guida per una Meditazione Pratica Gratificante

L’attitudine è tutto. Ci sono molte tecniche di meditazione, ma ciò che fa la differenza in termini di risveglio spirituale è la disciplina e l’onestà con te stesso.
Piuttosto che aggiungere un altro “dovrei” alla tua lista, scegli di praticare perché ci tieni a connetterti con la tua innata capacità di amore, chiarezza e pace interiore. Lascia che questa sincerità sia la motivazione che alimenta qualunque forma assuma la tua pratica.

Un aspetto primario dell’atteggiamento è la gentilezza incondizionata verso l’intero processo meditativo. Quando siamo amichevoli con un’altra persona, c’è accettazione. Eppure spesso entriamo in meditazione con un’idea del tipo di esperienza interiore che dovremmo avere e con un giudizio sul fatto di non “farlo bene”. In verità, non esiste una meditazione “giusta” e lo sforzo per farlo bene rafforza il senso di un sé imperfetto e continuamente in lotta. Piuttosto, dai il permesso all’esperienza meditativa di essere qualunque cosa sia. Abbi fiducia che se sei sincero nella tua intenzione di essere attento e di cuore aperto, col tempo la tua pratica ti porterà un senso di integrità e libertà.

La gentilezza include anche un interesse per ciò che sorge, che si tratti di sensazioni piacevoli o paura, tranquillità o confusione. La gentilezza non è altro che guardare con amore la vita dentro e intorno a noi.

Come iniziare una meditazione pratica quotidiana

Inizia semplicemente richiamando l’intenzione di essere qui, ora.

Stabilire un orario per la pratica di meditazione

La mattina è spesso preferita perché la mente può essere più calma di quanto non lo sia nel corso della giornata. Tuttavia, il momento migliore è quello in cui puoi impegnarti regolarmente.

Trovare uno spazio per la meditazione

Se possibile, dedica uno spazio esclusivamente alla tua seduta quotidiana. Scegli uno spazio relativamente protetto e tranquillo dove puoi lasciare il cuscino (o la sedia) in modo che sia sempre lì ad accoglierti.

Imposta la tua intenzione

C’è un insegnamento Zen che dice “La cosa più importante è ricordare la cosa più importante”. È utile ricordare all’inizio di ogni seduta ciò che è importante per te, ciò che ti spinge a meditare. Prenditi qualche momento per connetterti in modo sincero con l’aspirazione del tuo cuore. Potresti percepirla come una preghiera che in qualche modo dedica la tua pratica alla tua libertà spirituale e a quella di tutti gli esseri senzienti.

Imposta la tua postura

La mente vigile è uno dei due ingredienti essenziali in ogni meditazione. Sedersi su una sedia, un cuscino o una panca, o inginocchiato il più possibile in posizione eretta, alta e dignitosa.
Un senso di apertura e ricettività è il secondo ingrediente essenziale in ogni meditazione, ed è supportato dal rilassar aree di tensione evidenti e abituali. Seduto in una postura eretta, lascia che il resto dello scheletro e dei muscoli penzoli liberamente. Lascia che le mani riposino comodamente sulle ginocchia o in grembo. Lascia che gli occhi si chiudano, o se preferisci, lascia gli occhi aperti, lo sguardo dolce e ricettivo.

E’ consigliato non saltare la fase del rilassamento/lasciarsi andare! Puoi fare diversi respiri profondi e completi e, ad ogni espirazione, lasciarti andare consapevolmente, rilassando il viso, le spalle, le mani e l’area dello stomaco.
Oppure, potresti voler iniziare una sorta di “scansione” del corpo: inizia dal cuoio capelluto e sposta lentamente la tua attenzione verso il basso, rilassando metodicamente e ammorbidendo ogni parte del corpo. Rilasciare consapevolmente la tensione del corpo ti aiuterà ad aprirti a tutto ciò che nasce durante ogni tua meditazione.

LA PRATICA DI MEDITAZIONE DI BASE

Presenza Naturale

La presenza ha due qualità interdipendenti: riconoscere, o notare ciò che sta accadendo, e permettere tutto ciò che viene sperimentato senza alcun giudizio, resistenza o presa. La presenza è la nostra natura più profonda, e l’essenza della meditazione è realizzare ed abitare questa intera e lucida consapevolezza.

Pratichiamo la meditazione ricevendo tutti i domini dell’esperienza con un’attenzione consapevole e aperta. Questi domini includono respiro e sensazioni; sentimenti (piacevoli, spiacevoli e neutri); percezioni sensoriali, pensieri ed emozioni; e la consapevolezza stessa.

Nella pratica essenziale della meditazione non c’è alcun tentativo di manipolare o controllare l’esperienza. La Presenza Naturale riconosce semplicemente ciò che sta sorgendo (pensieri, sentimenti, suoni, emozioni) e permette alla vita di svolgersi, così com’è. Finché c’è la sensazione di un sé che fa uno sforzo e fa una pratica, c’è identificazione con un sé separato e limitato. L’aperta ricettività della Presenza Naturale dissolve questo senso di un sé che “fa” la meditazione.

Conoscere la differenza tra Presenza Naturale e “risorse”

Poiché le nostre menti sono spesso così occupate e reattive, è utile sviluppare delle risorse che consentano di calmare la nostra mente e ci permettano di tornare alla pienezza della Presenza Naturale. Questi supporti per la pratica ci aiutano a notare e rilassare i pensieri e la tensione fisica. Implicano uno sforzo saggio che annulla i nostri sforzi!

Potresti considerarti come un artista contemplativo, con una tavolozza di colori (strategie di supporto) con cui lavorare per creare lo stato d’animo interiore più favorevole alla chiarezza e all’apertura della presenza. Questi colori possono essere applicati con un tocco leggero.

Sperimenta e vedi cosa funziona meglio per te, e non confondere questi metodi (come seguire il respiro) con la presenza radicale e liberatrice che libera e risveglia il nostro spirito. Indipendentemente dai mezzi abili che impieghi, crea un po’ di tempo durante ogni seduta in cui lasci andare tutte le “azioni” e riposi semplicemente nella Presenza Naturale. Scopri cosa succede quando non c’è alcun controllo o sforzo, quando semplicemente lasci che la vita sia così com’è. Scopri chi sei, quando non c’è una gestione programmata della meditazione.

Scegli una base di partenza: un’ancora o un oggetto di meditazione

È utile selezionare una base di partenza (o diverse ancore) che consentano di calmare e raccogliere la mente ed approfondire la presenza incarnata.
Trovi gli ancoraggi utili nell’articolo “8 domande e risposte per la meditazione”.

Promemoria: “tornare indietro” e “essere qui”

La consapevolezza è la ciò che emerge prestando attenzione intenzionalmente e senza giudizio al dispiegarsi dell’esperienza momento per momento. Ci alleniamo alla consapevolezza stabilendo una presenza incarnata e imparando a vedere chiaramente e sentire pienamente il flusso mutevole di sensazioni, sentimenti (piacevoli e spiacevoli), emozioni e suoni.

Una metafora offerta dallo psichiatra e autore, Dan Siegel, è utile. Immagina la tua consapevolezza come una grande ruota. Al mozzo della ruota c’è la presenza consapevole, e da questo mozzo un numero infinito di raggi si estende fino al cerchione. La tua attenzione è condizionata a lasciare la presenza, spostarsi lungo i raggi e fissarsi su una parte del cerchio dopo l’altra.

I piani per una cena tra amici sfociano in una conversazione inquietante, un giudizio su se stessi, una canzone della radio, un mal di schiena, la sensazione di paura. Oppure la tua attenzione si perde nel pensiero ossessivo che gira all’infinito attorno a storie e sentimenti su ciò che non va. Se non sei connesso al mozzo, se la tua attenzione è intrappolata sul bordo, sei tagliato fuori dalla tua integrità e vivi come in trance.

L’allenamento alla consapevolezza ci consente di tornare alla condizione principale e vivere i nostri momenti con piena consapevolezza. Attraverso la pratica del “ritorno” notiamo quando ci siamo allontanati e ci siamo persi nei pensieri, e richiamiamo la nostra attenzione su una presenza basata sui sensi. Questa importante capacità si sviluppa attraverso le seguenti fasi:

    • Imposta la tua intenzione di risvegliarti dai pensieri – commenti mentali, ricordi, piani, valutazioni, storie – e riposa in una presenza non concettuale.
    • Porta delicatamente l’attenzione sulla tua àncora primaria, lasciandola in primo piano pur includendo sullo sfondo l’intero dominio dell’esperienza sensoriale. Ad esempio, potresti riposare nell’afflusso e nel deflusso del respiro come base di partenza, ed essere anche consapevole dei suoni nella stanza, una sensazione di sonnolenza, prurito, calore.
    • Quando ti accorgi di essere perso nei tuoi pensieri, fermati e torna dolcemente alla tua àncora, consapevole della mutevole esperienza dei tuoi sensi momento per momento.

Può essere utile ricordare che distrarsi è del tutto naturale, proprio come il corpo secerne enzimi, la mente genera pensieri! Non c’è bisogno di rendere i pensieri il nemico; renditi conto che hai la capacità di risvegliarti dalla trance del pensiero. Quando riconosci di esserti perso nei tuoi pensieri, prenditi il tuo tempo mentre ti allontani dal pensiero e ti rilassi nell’esperienza reale di essere qui.

Potresti ascoltare i suoni, rilassare nuovamente le spalle, le mani e la pancia, rilassare il petto.

Man mano che la mente si calma, avrai più momenti per “essere qui”, per riposare nel fulcro, semplicemente riconoscendo e permettendo il flusso mutevole dell’esperienza. Naturalmente la mente a volte si perde ancora sul bordo, e in questi momenti, quando te ne accorgi, torni di nuovo dolcemente al fulcro: “ritornare” ed “essere qui” sono sfaccettature fluide della pratica.

Più abiti nell’immobilità vigile al centro della ruota e includi nella consapevolezza tutto ciò che sta accadendo, più il fulcro della presenza diventa senza confini, caldo e luminoso. Nei momenti in cui non c’è controllo dell’esperienza, quando c’è consapevolezza senza sforzo, entri nella purezza della presenza. Questa è “presenza naturale”. Il mozzo, i raggi e il bordo fluttuano tutti nella tua luminosa consapevolezza aperta.

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Meditazione Mindfulness Come si fa?

8 domande (e risposte) sulla meditazione

1. Come inizio un periodo di meditazione?

È utile iniziare posizionandosi comodamente, richiamando alla mente le proprie aspirazioni e intenzioni, per calmarsi e stabilizzarsi, per trovare equilibrio e gentilezza, per vivere pienamente, consapevoli e presenti. Lascia che sia il tuo cuore a guidarti.

2. Quanto tempo devo praticare ogni giorno?

Il tempo non è molto importante, ciò che conta di più è la costanza: anche pochi minuti ma ogni giorno daranno forza e regolarità alla tua pratica.
Tuttavia ci sono alcune indicazioni che puoi seguire:

  • Decidere in anticipo la durata della tua seduta può aiutarti a sostenere la tua pratica. Per molti, un buon lasso di tempo è compreso tra 15 e 45 minuti. Se pratichi ogni giorno, sperimenterai gradualmente notevoli benefici (ad esempio, meno reattività, più calma) in modo da essere più propenso ad aumentare il tempo della pratica.
  • Se sei all’inizio scegli di farlo per soli cinque minuti magari due volte al giorno e via via aumenta il tempo di cinque minuti ogni giorno finché non raggiungi un periodo di tempo in cui, ogni giorno, puoi impegnarti stabilmente.
  • Se non impieghi il tempo che hai pianificato per meditare, non mortificare te stesso per l’occasione mancata, ma coglila come una motivazione per riprovare di nuovo.

3. E’ importante quando meditare?

Medita ogni giorno, anche se è per un periodo breve. Dedica intenzionalmente un momento alla meditazione e vivilo come un vero regalo! Spesso il momento migliore è durante la mattina perché “dà il tono” alla giornata e per alcuni la mente è più calma di quanto non possa essere più tardi, nel corso della giornata.
Tuttavia, il momento migliore è quello in cui puoi impegnarti realisticamente su base regolare. Alcune persone scelgono di fare due o più sessioni brevi, una all’inizio e una alla fine della giornata.

È utile anche prendere una pausa con sé stessi almeno una volta al giorno: stabilire un contatto con il tuo corpo ed il tuo respiro, per percepire la vitalità che è in te. Questo “spazio” di pausa consapevole ti permetterà di tornare a casa con la calma nel cuore.

4. Ho bisogno di un posto speciale per fare meditazione?

È utile trovare un posto relativamente tranquillo in cui non sarai disturbato. Può anche essere utile utilizzare lo stesso posto ogni volta perché l’associazione a quel luogo possiede il potenziale necessario ad aiutarti a stabilire la tua meditazione più rapidamente.

Detto questo, molte persone meditano sui trasporti pubblici, nei loro uffici all’ora di pranzo e nei parchi pubblici. Puoi sperimentare in modo creativo ciò che funziona per te e utilizzare questo preciso feedback per scegliere un luogo ottimale dove meditare.

Anche se non è necessario o richiesto, puoi “arredare” il tuo luogo speciale di meditazione con fotografie che ti piacciono in maniera particolare, con candele, fiori o altri oggetti personali. Questo può aiutarti ad incentivare le tue intenzioni per la pratica di meditazione.

5. C’è una posizione particolare che dovrei usare?

Similmente alla ricerca per il luogo di meditazione, puoi sperimentare posture diverse. Una postura non è migliore di un’altra. Sedersi su una sedia va bene, così come stare seduto in una posizione a gambe incrociate. L’importante è rispettare il proprio corpo: puoi fare la tua seduta di meditazione in piedi, camminando o rimanendo sdraiato, cercando così il modo ideale per bilanciare il tuo rilassamento e la tua vigilanza.
Possono essere comunque utili alcuni consigli utili per la postura ideale:

  • Siedi in un modo che consenta alla colonna vertebrale di essere eretta e rilassata, seguendo le sue curve naturali.
  • Consenti alle tue spalle di rilassarsi avanti e indietro.
  • Metti le mani sulle cosce o in grembo (magari appoggiandole su un piccolo cuscino o asciugamano) e consenti alle braccia di rilassarsi.
  • Lascia allungare la parte posteriore del collo e consenti al mento di rilassarsi leggermente.
  • Rilassa il viso; lascia che la fronte sia liscia così come gli occhi e la mascella; anche la la lingua deve ammorbidirsi e rilassarsi.

6. Come faccio a sapere cosa usare come “àncora” ?

È utile selezionare un’àncora di meditazione (o più àncore) che ti consentano di stabilizzare la tua mente e approfondire la presenza del tuo corpo. Ricorda che è abbastanza naturale che la tua attenzione sia presente con l’esperienza dell’àncora per un breve periodo e poi si allontani da quest’ultima. Quando noti questo, dirigi delicatamente la tua attenzione sul tuo corpo, rilassati di nuovo e ricollegati all’àncora. Non c’è bisogno di giudicare te stesso. Questo ricordo, che tornerà più e più volte, serve a sviluppare la tua consapevolezza, e lentamente la mente si rilasserà in maniera tranquilla.

Le àncore utili sono:
  • Il respiro mentre entra ed esce dalle narici.
  • La salita e l’ascesa del torace mentre respiri, l’espansione ed il suo rilascio nella pancia. Puoi anche appoggiare la mano sul ventre e sentire il respiro pulsare sul palmo della mano.
  • L’esperienza dell’intero corpo mentre respiri.
  • Altre sensazioni fisiche che sorgono, ad esempio le sensazioni nelle mani o attraverso tutto il corpo
  • La combinazione del respiro con le sensazioni sulle mani.
  • I suoni che senti dentro o intorno a te.
  • Ascoltare e sentire l’intera esperienza sensoriale (cioè, ricevere suoni e sensazioni attraverso la tua consapevolezza).

Prenditi del tempo per sperimentare con àncore diverse, per scoprire cosa funziona per te, per essere completamente presente. È utile selezionare le sensazioni neutrali o addirittura più piacevoli perché la mente sarà più incline a riposare in quel luogo.

7. E se non riuscissi a seguire il mio respiro?

Se non riesci a seguire il tuo respiro, potresti usare la mano sulla pancia come un modo per stabilizzare ulteriormente la tua attenzione. In alternativa, puoi scegliere un’altra àncora di meditazione, come suoni, sensazioni del corpo o respiro combinato con le sensazioni del corpo.

8. Devo sempre mantenere la stessa àncora di meditazione?

È di aiuto cercare di utilizzare sempre la stessa àncora di meditazione, su base regolare, ma potrebbero esserci momenti in cui si desidera scegliere un altro ancoraggio. Ad esempio, se di solito segui il respiro ma hai un raffreddore o allergie che rendono difficile la respirazione, potresti usare un suono o sensazioni come quelle nelle tue mani. Se il suono è la tua àncora normale ma la tua mente è particolarmente irrequieta e ha bisogno di più “messa a terra”, potresti ancorare la tua attenzione nel corpo o nel respiro: la tua pratica può evolversi in maniera naturale, per includere quando serve un’àncora di meditazione diversa.

Se la tua attenzione è relativamente stabile, potresti scegliere di esplorare la pratica senza un’àncora di meditazione specifica. Piuttosto, sii semplicemente consapevole di esperienze di spicco man mano che affiorano alla coscienza, di momento in momento, ad esempio, portando consapevolezza a un pensiero, a un’emozione, alle sensazioni del corpo, ai suoni.

Leggi anche il nostro articolo Mindfulness Meditazione per Principianti

 

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Ritiro mindfulness di primavera, esperienza pensata per seminare e lasciar fiorire i semi della consapevolezza, della gentilezza e della gioia.

Oggi più che mai siamo in grado di vedere il mondo attraverso differenti lenti, sia in senso letterale che metaforico. E anche letteralmente le lenti a disposizione di una fascia sempre maggiore di popolazione sono aumentate: non sto parlando solo di quelle degli occhiali – tema che conosco molto bene – ma anche delle lenti delle nostre fotocamere e dei nostri smartphone.
Sempre più si vedono persone estrarre con disinvoltura il proprio cellulare per scattare fotografie. E sembra caratterizzare un po’ tutti noi, indipendentemente da ciò che facciamo e dalla nostra età.
Solitamente, scattiamo fotografie quando vediamo una scena o qualcosa per noi significativo. Così le foto possono essere un modo magnifico non solo per immortalare il momento, ma anche per condividerlo con gli altri.

La fotografia è di aiuto alla mia esperienza del momento oppure mi fa distrarre e mi porta via dal presente?

Mindfulness e fotografia possono supportarsi a vicenda: insieme contribuiscono a far aumentare il nostro livello di consapevolezza del vedere ciò che è presente, momento per momento.
Il fotografo mindful – chiunque di noi può diventarlo – non è un fotografo esperto o di professione, ma colui che in modo intenzionale sceglie di dirigere l’attenzione a ciò che c’è, mentre ciò sta accadendo (nel momento presente), qualunque cosa sia. Questa è la definizione di Mindfulness di Rob Nairn, insegnante di buddhismo, meditazione e Mindfulness, che possiamo estendere all’argomento che stiamo trattando.
In che modo possiamo fare ciò? Rallentando e diventando pienamente presenti nel qui ed ora.
Scegliendo di rallentare e di diventare dei testimoni di quello che sta accadendo nel momento in cui scattiamo la foto, entriamo in un nuovo spazio, che ci permette di vedere meglio ciò che c’è e anche di più di quello che notiamo di solito.
Ma non solo: riusciamo magari anche a notare i giudizi verso noi stessi, l’avversione, i rimproveri che ci facciamo. In questo spazio maggiormente consapevole, riusciamo gradualmente a prestare attenzione non solo a quello che c’è attorno a noi, ma anche a renderci conto di come stiamo cercando di trattenere, di far durare il più possibile a lungo qualcosa che è effimero, passeggero per sua stessa natura, o di volere che se ne vada, cercando così di dettare le personali condizioni per fare uno scatto perfetto. Uno spazio nel quale è possibile sentirsi in relazione con tutto ciò che ci circonda, sentirsi un tutt’uno con esso: il nostro essere mindful.
La tendenza ad aspettare il momento “perfetto-per-me” per scattare potrebbe, infatti, farci allontanare dal nostro essere un fotografo mindful.
Fotografare, quindi, potrebbe diventare una sorta di allenamento ad accettare l’imperfezione e l’impermanenza. Ricordando che, per ogni momento perso, ci sono altrettanti momenti splendidi che non ci aspettavamo potessero succedere. Quante volte sarà capitato a tutti noi di lamentarci per aver perso l’attimo, immersi nei nostri rimproveri, senza renderci tuttavia conto della bellezza che gli attimi successivi ci stavano offrendo e che non stavamo davvero vedendo e considerando… D’altronde, “la fotografia è l’arte di mostrare di quanti istanti effimeri la vita sia fatta” (Marcel Proust).
Anziché aspettare il momento perfetto – chissà se poi arriverà davvero e chissà se riusciremo ad immortalarlo – potremmo chiederci per quale motivo vogliamo scattare la fotografia, che cosa vorremmo raccontare e magari condividere. E potremmo, una volta scattate le foto, dirigere la nostra attenzione ad osservare e ad apprezzare le foto che trasmettono tutto questo, piuttosto che a lamentarci di quelle che non riescono a farlo.
Riassumendo le caratteristiche del fotografo mindful, la centralità è sul processo e sulle nostre intenzioni. Non è necessario avere una macchina fotografica per rallentare dalla nostra vita quando l’attenzione si posa su qualcosa. E abbiamo tutti la capacità di creare quello spazio consapevole per osservare davvero che cosa vorremmo fotografare, in modo da farla diventare un’azione intenzionale e scegliere così di sentirci un tutt’uno, pienamente presenti a ciò che stiamo facendo, a ciò che stiamo osservando nel momento presente. In questo modo, si stanno allineando i nostri occhi e la nostra mente; stiamo semplicemente diventando più mindful. Stiamo risvegliando così i nostri sensi, che ci permettono di sentirci connessi con il mondo che ci circonda. Come afferma il fotografo Henri Cartier-Bresson, “fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. E’ un modo di vivere”.
Anche limitare il numero delle foto può aiutarci in questo nuovo approccio nel vedere quello che è attorno a noi. La nostra mente viene così allenata a focalizzarsi in modo intenzionale su qualcosa, così come è in quel momento, al di là di qualunque giudizio. Avendo così la capacità di vedere veramente…

Questa foto è il mio racconto di oggi che mi fa piacere condividere con voi!

Rossana Locatelli

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Consigli Mindfulness per gestire ansia e paura

Il paradosso della paura della vicinanza

Ho sentito di una donna che è caduta in strada per una banale storta e, non solo non è stata aiutata da nessuno a rialzarsi, ma ha rifiutato la mano dell’unico passante coraggioso (o incauto) che le si era avvicinato…

Cosa sta succedendo? Possibile che pochi mesi di distanziamento personale ci abbiano già cambiati così tanto?

La risposta ce la danno scienze come la Biologia, le Neuroscienze, la Teoria Evoluzionistica.

Ma andiamo per ordine: immaginate di essere uno dei passanti che assiste alla scena banale e ordinaria di una donna che cade in strada per una semplice slogatura di caviglia. Nel vostro cervello, prima di qualsiasi reazione conscia, si scatena una reazione biochimica fatta più o meno così: l’Amigdala dà un allarme generico, manda un segnale al vicino Ipotalamo e alle ghiandole pituitarie (nel cervello) che a loro volta mandano un rapido segnale alle ghiandole surrenali perchè producano Adrenalina e Noradrenalina e preparino il corpo all’azione. Il sistema digerente rallenta, i muscoli si contraggono, la pressione sanguigna aumenta, i peli del corpo si rizzano, la saliva diminuisce, i vasi periferici si restringono, il sangue è pompato nei muscoli e nel cuore.

Tutto il sistema volge all’azione. Il meccanismo appena spiegato prepara all’attacco o fuga, all’azione in ogni caso, e l’allarme funge da trigger (innesco) per non permetterci di stare in una situazione di potenziale pericolo. Dobbiamo pensare che il sistema che regola la paura e la protezione dai pericoli non è un sistema molto raffinato, è grossolano: se un conspecifico (un altro essere umano) cade, ci sarà un pericolo… solo dopo si può ragionare sulle cause.  Tuttavia ad oggi subentra un condizionamento che vi avverte di un pericolo ben peggiore… e qui cominciano i guai.

L’essere umano è un animale sociale… vuol dire non solo che sta bene in gruppo, ma che in caso di vulnerabilità si salva solo con la vicinanza protettiva di un conspecifico. Quindi mentre voi siete annichiliti dalla paura per qualche istante, la povera malcapitata sta anche peggio:  il suo sistema nervoso non riesce a decidersi se è in pericolo (e allora dovrebbe chiedervi aiuto) o se il pericolo siete voi (e allora dovrebbe fuggire)…Insomma un dilemma evoluzionistico.

Scene di questo genere si ripetono continuamente in questo periodo e denotano l’empasse psicobiologico in cui siamo finiti: abbiamo paura di ciò di cui abbiamo bisogno, il contatto umano.

Questo è un paradosso che ha colpito ogni ambito della nostra vita: 

La famiglia:

Avete saputo che Greta Thunberg si è autoisolata dalla propria famiglia pur non avendo sintomi e non facendo né test né tamponi per proteggerli? Lo hanno fatto anche molti medici e operatori sanitari: esausti e stremati dal lavoro forse avrebbero desiderato un abbraccio di un figlio, marito, amante. E invece no. 

Il lavoro: 

I tempi sono così incerti, la crisi economica alle porte, ma la tendenza è quella di coltivare ognuno il proprio orticello.

La salute e la salute mentale

Una volta passata l’emergenza qualcuno si preoccuperà di veri e propri programmi di prevenzione primaria?

L’educazione:

Se non in casi sporadici non si sta pensando a nuove e creative soluzioni.

Il motivo per cui facciamo cose controintuitive è semplice: stiamo reagendo collettivamente alla paura. Come abbiamo visto ci sono solo due modi di reagire alla paura: attacco e fuga (più uno in realtà… il più estremo: il freezing). Ed ecco che il mondo si divide in due /tre categorie:

  • quelli che si arrabbiano, polemizzano, se la prendono con chiunque perchè loro avrebbero fatto meglio, fino ai complottisti (attacco),
  • e quelli che si isolano, si chiudono o addirittura negano le conseguenze nefaste del virus e dell’emergenza (fuga).
  • Poi quelli così atterriti da sentirsi bloccati o che volonariamente si depersonalizzano passando le giornate in compagnia di serie tv (freezing).

La verità è che tutti (TUTTI) abbiamo paura, o almeno l’abbiamo avuta.

Con le conoscenze che ho sull’argomento posso dire che non usciremo facilmente da questa situazione se non impariamo a CALMARE il sistema nervoso. 

Posso affermare con buona sicurezza che qualsiasi decisione prendiamo in ambito lavorativo adesso avrà ricadute sul nostro avvenire.

Posso dirvi che come nella traiettoria di un aereo uno spostamento di qualche grado oggi avrà ricadute distanti migliaia di Kilometri dalla nostra meta domani.

La paura è un’alleata così come lo è l’allarme di casa.  Una volta che abbiamo controllato ogni stanza dell’appartamento, ogni angolo del giardino,  non possiamo tenere acceso l’allarme h24… i vicini si lamenteranno e noi non dormiremo più, oltreché cesserà la sua funzione di tenere lontani i ladri.

Impariamo a spegnere l’allarme, coltiviamo buone relazioni e uno stato di calma vigile che non comporti l’allerta per ogni piccola cosa… e diamo una mano alle signore che cadono per strada!

Per uscire dal paradosso in cui siamo finiti, cioè per spegnere l’allarme della paura pur rimanendo vigili e cauti, occorrono azioni attive.

 

Di seguito qualche suggerimento:

  • Coltiva azioni di padronanza: paga un conto, termina un lavoro, lava i piatti, finisci un progetto.
  • Pratica Mindfulness: essere consapevoli è calmante di per sé
  • Identifica ciò che è sotto il tuo controllo, lascia andare ciò che non lo è
  • Ricupera le tue relazioni
  • Sii grato per una piccola cosa
  • Usa l’immaginazione

Le azioni suggerite sopra fanno parte di una categoria di azioni in cui è richiesto l’uso di una parte del cervello (la Neocorteccia) il cui funzionamento viene inibito se la paura prende il sopravvento.

Allenarsi a passare da un sistema all’altro non solo si può, ma è consigliabile per ripristinare prima possibile un buon equilibrio neurobiologico e relazionale.

Federica Di Vieste

 

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Come migliorare la comunicazione con la tecnica Mindfulness:

 

Sono entusiasta della “nuova normalità” che ci aspetta dopo la pandemia.

Immagino un tempo in cui siamo immensamente grati per le piccole cose, come le gite in bicicletta con gli amici.

Un tempo in cui prendiamo il tempo per ritrovare i “congiunti”, anche nel mezzo della settimana.

Uno in cui ci abbracciamo strettamente e non siamo i primi a lasciarci andare l’un l’altro.

Un tempo in cui lavoriamo come se fosse una benedizione ed eseguiamo le nostre commissioni come se fosse un privilegio.

Un tempo in cui ci salutiamo con tutto il cuore perché non abbiamo più bisogno di uno schermo per essere visti. Uno in cui non trascorriamo tutta la settimana desiderando il fine settimana, ma apprezziamo ogni lunedì, martedì, mercoledì…perché ogni giorno ci dà l’opportunità di trovare gioia.

Immagino un tempo in cui dedichiamo del tempo a cose che ci rendono vivi, non perché una pandemia ci abbia costretto in casa, ma perché ora sappiamo che nella vita c’è molto più che efficienza e produttività.

Credo che non porremo più l’accento su regali e cose materiali perché abbiamo imparato che l’unica cosa degna di essere celebrata è la presenza.

Immagino ancora un tempo in cui rimuoviamo non solo le nostre maschere fisiche, ma mettiamo da parte la perfezione e abbracciamo l’autenticità.

Uno in cui dedichiamo meno tempo all’avere e più tempo all’essere.

Uno in cui è normale essere grati.

Uno in cui è normale vivere semplicemente.

Uno in cui è normale essere contenti.

Immagino un tempo di un “nuovo normale”… mi piace l’idea.

Come me, anche voi avrete immaginato la nuova normalità. Complici anche i mass media, abbiamo già costruito con l’immaginazione la fase 2 o 3. poi la seconda ondata, poi la terza… poi il vaccino. Poi ne abbiamo parlato. E solo dopo, cioè ora, ci stiamo veramente preparando alla realtà che abbiamo cominciato immaginare.

Suggerimenti Mindfulness per migliorare la comunicazione

La capacità di comunicare messaggi anche astratti è solo umana. Tutto ciò che gli esseri viventi anche molto evoluti nel modo di comunicare possono fare tra loro è trasmettere il presente: invece gli esseri umani possono parlare del passato, del futuro, comunicare i propri sentimenti e persino metacomunicarli.

Avete mai pensato che un delfino non può dire a un altro delfino “mettiamoci d’accordo, vai avanti tu…”.

Oppure riuscite a immaginare un appuntamento romantico per il prossimo venerdì sera tra scimpanzè?

Per quanto la comunicazione tra scimpanzé o tra delfini sia molto evoluta, pare che sia semplicemente basata su messaggi concreti e presenti.

La nostra capacità di comunicare invece spazia dal comunicare messaggi, al fare richieste, al negoziare, al progettare cooperando.

Per l’essere umano è importante costruire comprensione, muovere un dialogo in avanti passo dopo passo, e arrivare a soluzioni che funzionano per tutti gli interessati. Insomma trovare significati. trovare il senso.

Questa è una esigenza e una abilità tutta umana che si riflette nel linguaggio ma anche nelle relazioni. In quanto esseri umani cercheremo il senso al di sopra di ogni cosa e soffriamo se non lo troviamo. Per farlo abbiamo a disposizione una serie di strumenti linguistici e relazionali, dai più semplici ai più complessi, per esempio possiamo far seguire una richiesta a dichiarazione, possiamo fare accordi, possiamo dire e sentire “No”, possiamo costruire mondi e realtà possibili.

Infatti ognuno di noi si è costruito una “nuova normalità”, una aspettativa che probabilmente poi ci ha un po’ deluso, di cui abbiamo parlato con qualcuno e che possiamo sempre cambiare.

Il nostro mondo astratto è come una mappa, ma la mappa non è il territorio, diceva un vecchio detto.

Ognuno di noi ha la propria rappresentazione, la propria mappa, e quando si confronta con qualcun altro dà per scontato che si parli dello stesso territorio.

Ecco dove nascono i problemi di comunicazione e le incomprensioni. Per trovare un senso comune occorre confrontare le nostre mappe. Settare le nostre bussole. A quel punto possiamo fare accordi per trovare un senso comune, che, come abbiamo visto è l’obiettivo supremo dell’essere umano.

Come possiamo confrontare le nostre mappe quindi?

Ancora una volta, la nostra capacità di confrontare le nostre mappe dipende dalla presenza – essere in grado di essere consapevole mentre siamo in relazione, e su intenzione – essere consapevoli della nostra motivazione nel dialogo. Di seguito qualche suggerimento:

  1. Esplora il condizionamento dei conflitti: fai attenzione a come rispondi a differenza, disaccordo o conflitto. Tendi ad ignorarlo (opposizione al conflitto)? cedere o placare (passivo)? Tendi ad “attaccare” (conflittuale)? Fai finta che le cose vadano bene mentre esprimi sottilmente disdegno, rabbia o risentimento (aggressività passiva)? Quando sei collaborativo o assertivo?
  2. Tempi e apertura: fai attenzione a come inizi le conversazioni. Hai ottenuto un accordo verificato con l’altra persona riguardo ai tempi? Sei in grado di iniziare con un’osservazione neutrale per dare loro un contesto / cornice riferimento?
  3. Monitora la tua attivazione: presta attenzione a qualsiasi segno di attivazione. Come ti accorgi se/quando stai diventando reattivo o a disagio? Puoi percepire la tua attenzione nel tuo corpo? Partecipa a qualsiasi momento di relax, respiro o disattivazione.
  4. Stimolazione e pausa: esercitati a rallentare il ritmo di una conversazione con micro-pause, rallentando il tuo discorso un po’ o usando lo strumento empatico della riflessione per garantire che si sta chiudendo ogni ciclo di comunicazione.
  5. Lavora con l’intenzione: esercitarsi a definire un’intenzione prima di una conversazione, e tornare più volte durante la conversazione. Potrebbe essere la basilare intenzione di comprendere (curiosità e cura), o un’altra intenzione come la pazienza, apertura mentale, auto-connessione, richieste chiare o altro: ti sosterrà nel dialogo.
  6. Fare una pausa: se ti trovi in una conversazione che pensi non sia più produttiva, pratica facendo una pausa: a) prima affermando la connessione, e b) quindi esprimendo il desiderio di continuare la conversazione in un secondo momento.

Questo forse ci aiuterà a costruire una nuova normalità condivisa.

Federica di Vieste

 

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La pratica Mindfulness per sviluppare la fiducia in sé stessi

Percezione e auto efficacia

“La percezione è forte e la vista debole. Nella strategia è importante vedere le cose distanti come se fossero vicine e prendere una visione distanziata delle cose vicine.”

Miyamoto Musashi

Militare e scrittore giapponese 1584 – 1645

 

Tutti noi cerchiamo di esercitare un controllo sugli eventi che riguardano la nostra vita per prevenire ansia, apatia o disperazione che può generare da situazioni ritenute spiacevoli o dannose. 

Nel corso degli anni sono state proposte molteplici teorie riguardo alla capacità di esercitare un controllo sugli eventi. Il focus principale riguarda la convinzione delle persone circa le proprie capacità di produrre determinati effetti. Ciò che ha colpito il mondo nell’ultimo anno – la pandemia e l’emergenza sanitaria– è stata devastante soprattutto per il suo carattere inaspettato.

L’uomo “vuole” poter credere di avere un effetto su ciò che lo circonda e non è disposto ad accettare la propria impotenza davanti a eventi di media o grossa portata.

Per comprendere e spiegare tale “convinzione di efficacia” si sono sviluppate diverse teorie: se ne sono studiate le origini, le strutture cognitive e funzioni, i processi attraverso i quali essa opera ed i suoi molteplici effetti.

Il senso di autoefficacia riguarda tutti questi microprocessi tanto a livello individuale che a livello collettivo. Il concetto di autoefficacia, in generale, si riferisce alla “convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che incontreremo in modo da raggiungere i risultati prefissati. Le convinzioni di efficacia influenzano il modo in cui le persone pensano, si sentono, trovano le motivazioni personali e agiscono” (Bandura 1986).

Anche nello sport l’Autoefficacia è definita come la “fiducia che una persona ripone nella propria capacità di affrontare un compito specifico” . 

 

Ogni individuo sceglierà di partecipare ad attività che gli garantiscono buoni margini di successo, rispetto ad altre che potrebbero sfociare con più facilità in insuccessi, ma le proprie aspettative sono influenzate da diversi fattori, tra cui la percezione, più o meno aderente alla realtà che l’individuo si è costruito a partire dai seguenti fattori:

  • Le “esperienze personali”: rappresentano la memoria di situazioni passate affrontate con successo. Esperienze di padronanza personale consolidano le aspettative future, mentre esperienze negative producono l’effetto opposto. Un solido senso di efficacia richiede perseveranza e impegno nel superamento degli ostacoli. 
  • L’esperienza vicaria” è fornita dall’osservazione di modelli. Vedere persone simili a sé che raggiungono i propri obiettivi attraverso l’impegno e l’azione personale incrementa in noi la convinzione di possedere quelle stesse capacità. Ugualmente, vedere persone che falliscono, nonostante l’impegno, indebolisce il nostro senso di efficacia. 
  • “La persuasione” consolida la nostra convinzione di essere in possesso di ciò che occorre per riuscire. Purtroppo le aspettative di efficacia che ne derivano sono meno forti di quelle prodotte dall’esperienza pratica. 
  • Nel valutare le proprie capacità le persone si basano sugli “stati emotivi e fisiologici”. Spesso le situazioni di stress e la tensione vengono percepite come il presagio di una cattiva prestazione. Non è l’intensità delle reazioni emotive e fisiche ad essere importante, quanto piuttosto il modo in cui esse vengono percepite ed interpretate. Per esempio le persone che hanno un buon senso di efficacia considerano il proprio stato di attivazione emotiva come qualcosa che facilita l’azione dando energia mentre quelle sfiduciate vivono lo stato di attivazione fisico-emotivo come pericoloso e debilitante, cioè presagio di un cattivo rendimento e un cattivo risultato.
  • La percezione di sé come efficace e del mondo come sufficientemente prevedibile ha buoni effetti sui “processi cognitivi”, cioè quei processi che permettono alla persona di porsi degli obiettivi e di pianificarne mentalmente le linee d’azione e gli strumenti più efficaci per raggiungerli (capacità di problem – solving). Chi possiede un alto senso di autoefficacia visualizza mentalmente, con più facilità, immagini in cui si vedono vincenti e queste immagini forniscono una guida ed un sostegno per le azioni che andrà a mettere in opera. Viceversa, coloro che hanno un basso livello di autoefficacia si trovano ad essere in preda a dubbi su se stessi. Inoltre quanto più forte è il senso di efficacia, tanto più le persone sono vigorose nell’affrontare situazioni problematiche stressanti e tanto maggiore è il loro successo nel modificarle. Un basso livello di autoefficacia può alimentare ansia e depressione. L’umore e l’autoefficacia si alimentano reciprocamente in modo proporzionale.

Si capisce inoltre come la consapevolezza e l’autoefficacia siano strettamente correlate: intendiamo per consapevolezza la capacità di sentire il proprio corpo e l’ambiente circostante in un unico atto percettivo e per autoefficacia appunto la capacità di padroneggiare ciò che è sotto il nostro controllo e affinarlo per usarlo al meglio lasciando perdere il resto. 

Federica Di Vieste

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Chi ha fame qui?

Questa domanda è l’essenza della Mindful Eating, cercare di capire cosa ci spinge a mangiare, ogni volta che lo facciamo. Sarebbe auspicabile farlo a ogni pasto, fino a che non diventa un’abitudine, provaci!

La fame non è una sola, ma sono diverse, e ognuna di esse ha caratteristiche differenti.

Mindfulness Eating e l’esercizio della consapevolezza

 

Possiamo distinguere 9 tipi di fame, ognuna associata a una parte del corpo:

  • la fame degli occhi
  • la fame del naso
  • la fame delle orecchie
  • la fame del tatto
  • la fame della bocca
  • la fame dello stomaco
  • la fame cellulare
  • la fame della mente
  • la fame del cuore

Scopriamo insieme le differenze così potrai cominciare ad esplorarle tu stesso ogni volta che sentirai di avere fame.

1. Fame degli occhi

Quante volte ti è venuta l’acquolina solo per aver visto un cibo dalle sembianze accattivanti in una foto o alla tv? La fame degli occhi è così importante, che possiamo preferire di gran lunga un piatto ad un altro solo perché ben composto, sebbene i due piatti abbiano gli stessi ingredienti.

Gli occhi possono ingannare la mente e lo stomaco.

Pensa alla vista del buffet dei dolci al termine di un pasto, anche se ti senti già sazio gli occhi ti possono portare a fare ancora uno sforzo per assaggiare il dolce.

Per soddisfare la fame degli occhi, esplora visivamente e a lungo un piatto, prima di passare subito a mangiarlo con la bocca, ti accorgerai facilmente come potrebbe bastare un solo piccolo assaggio di dolce per essere appagato.

2. Fame del naso

Il sapore di un cibo comincia a formarsi a partire dall’odore che ha. Il nostro senso dell’olfatto è molto più sensibile del nostro senso del gusto e porta alla nostra mente molto in fretta ricordi ed emozioni anche molto lontani nel tempo.

Pensa al profumo che senti passando davanti ad una panetteria, anche se sei a stomaco pieno questo odore molto facilmente scatenerà la tua voglia di assaggiare il pane o la pizza di cui hai sentito il profumo.

Riporta ora alla mente l’ultima volta in cui hai preso il raffreddore: il tuo senso del gusto funzionava come sempre? O senza l’olfatto i cibi sembravano perdere sapore?


Per soddisfare la fame del naso, soffermati a lungo sull’aroma del cibo, prima di mangiarlo con la bocca. Così come per la fame degli occhi ti accorgerai che sarai in grado di saziarti molto più velocemente e con quantità di cibo inferiori al solito.

3. Fame delle orecchie

La croccantezza delle patatine, o il suono del pacchetto in cui sono contenute, vengono creati di proposito dalle aziende produttrici per sedurci attraverso la fame delle orecchie. Questo perché hanno ben compreso quanto il suono sia importante per stimolare curiosità e attrattiva verso il cibo.

Per soddisfare la fame delle orecchie, fermati e ascolta con apertura e curiosità genuina il suono del cibo mentre lo tocchi o lo mastichi. Per farlo, chiudi gli occhi e concentrati solo sul suono del cibo. Prova a mangiare uno snack in assoluto silenzio concentrandoti solamente sui suoni che senti sia esterni che interni. 

4. Fame del tatto

Il tatto non si riduce solamente alle dita, ma puoi esplorare il cibo con le labbra, con la lingua e con i denti. Torna bambino provando anche a “giocare” con il cibo come i neonati, esplora le consistenze, le forme, il peso del cibo che hai in mano.

Quando rallenti il tuo pasto utilizzando il tatto, ti apri alla possibilità di trasformare la tua esperienza alimentare in un momento altamente godibile. Prova e scopri come ti senti a “pasticciare” come un bambino…

5. Fame della bocca

L’idea che hai del gusto dei cibi, di quali siano appetibili e quali no è, in realtà, in buona misura il frutto dei condizionamenti sociali e dell’educazione che hai ricevuto. 

Questo influenza anche le tue preferenze su quanto dolce vuoi che sia il tuo caffè o quanto salata vuoi che sia la tua bistecca, ad esempio, o il tipo di condimento e le spezie che prediligi.

Sviluppare una maggiore consapevolezza del gusto dei cibi, attraverso un’ingenua esplorazione gustativa di ciò che mangi, ha un fortissimo potere nel soddisfare con piccole quantità di cibo la tua fame della bocca.

Assaggia qualcosa che conosci molto bene ma in modo del tutto nuovo, come se fosse un cibo mai assaggiato prima, scoprirai sapori che non avevi mai sentito!

6. Fame dello stomaco

Eccoci a quella che sembrerebbe la fame a noi più conosciuta. In realtà non è così, perché sempre più spesso confondiamo i segnali che il nostro corpo ci manda e non riconosciamo i reali stimoli della fame.

Sebbene nasciamo con una capacità innata di essere consapevoli dei segnali provenienti dal nostro stomaco, può accadere che essi vengano confusi con altre sensazioni come l’ansia o il nervosismo.

Cerca di non rispondere subito col cibo quando ti senti affamato e mangia solo dopo essere diventato consapevole delle tue sensazioni fisiche. 

Fai questo esperimento:

quando inizi un pasto, valuta il livello della tua fame e della tua pienezza su una scala da 1 a 10 e a metà pasto rivaluta nuovamente questi segnali. Questo semplice esercizio ti aiuterà a riconnetterti con le tue sensazioni fisiche.

7. Fame cellulare

La fame cellulare è la fame biologica, è forse la più difficile da sentire, sebbene sia il motivo principale per cui mangiamo. Quando eravamo bambini, sapevamo intuitivamente quando avevamo bisogno di mangiare e di cosa il nostro corpo aveva bisogno, col passare del tempo, però, abbiamo perso questa abilità.

Spesso quella che ti sembra fame è in realtà “sete delle cellule”.

Attraverso la mindfulness, è possibile divenire nuovamente consapevole di ciò di cui il tuo corpo ha bisogno per nutrirsi adeguatamente. 

8. Fame della mente

La società moderna ci ha reso dei mangiatori ansiosi. Siamo costantemente influenzati dalle mode alimentari, dalle diete del momento o dagli ultimi articoli allarmistici in fatto di alimentazione.  La mente è davvero difficile da soddisfare e trova sempre qualcosa di nuovo su cui focalizzarsi, una volta che un desiderio è stato soddisfatto.

La mente tende ad essere ipercritica (dovrei, non dovrei, non me lo merito…) e ad etichettare i cibi in base ai nostri pensieri (cibo sano, cibo spazzatura, cibo taboo…). Tutto questo non fa altro che aumentare la tua ansia e preoccupazione davanti al cibo.

La mindfulness ti può aiutare a calmare la mente, permettendo l’accesso ad una nuova consapevolezza, maggiormente sensibile agli altri segnali che il tuo corpo ti manda.

Prova a fare un pasto riconoscendo quelli che sono solamente “pensieri” legati al cibo e alle tue convinzioni e prova a lasciarli andare ascoltando solo le tue sensazioni fisiche. Questo è uno degli esercizi forse più complessi, ma più importanti. 

9. Fame del cuore

Questo è un tipo di fame molto diverso da tutti quelli che abbiamo visto negli scorsi giorni, perché la fame del cuore non può essere soddisfatta!

Molto spesso cosa mangi e quando lo mangi è connesso alle tue emozioni.
Spesso la fame nervosa si traduce nel desiderio di essere amati o accuditi, mangi per riempire un vuoto, ma quel vuoto non può essere soddisfatto attraverso il cibo.

Per soddisfare la tua fame del cuore, hai bisogno di trovare l’intimità ed il conforto di cui il tuo cuore ha bisogno. Cerca di notare le emozioni che stai provando nel momento in cui senti l’urgenza di fare uno snack e potrai scoprire che vi sono vie alternative per soddisfarle.

Conclusioni

Se imparerai a riconoscere la fame del cuore insieme a tutte le altre, farai enormi passi avanti nella tua consapevolezza e imparerai a mangiare qualsiasi tipo di cibo senza ansia e senza preoccupazione, perché imparerai a gestire sempre il tuo giusto senso di fame e sazietà.

Questo non solo migliorerà il tuo rapporto con il cibo, ma anche con il tuo corpo, con il tuo specchio e con la tua bilancia!

Esercizio di consapevolezza

Per allenarti a riconoscere i tipi di fame, fai questo esercizio di consapevolezza ogni volta che puoi.

Prima di mangiare o bere, chiedi a ciascuna parte se ha fame.

Se la risposta è sì, domanda a quella parte quanto sia affamata da 0 a 10.

 

Questa pratica fatta con sistematicità aiuta a fermarsi prima di ogni pasto, imparando a

decidere se mangiare o meno, basandosi su più informazioni.

Fammi sapere se questo percorso alla scoperta dei diversi ti di fame ti è piaciuto e cosa hai imparato. Se hai dubbi o domande scrivile nei commenti.

Dott. Massimiliano Mussa

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